3 giugno 2009

Richard Yates - Revolutionary Road

Così mi trovo tra le mani questo Revolutionary Road, mentre varco l'uscita della biblioteca con appiccicato sul volto un mezzo ghigno di soddisfazione. E l'afa di un fine Maggio straordinariamente caldo mi investe mentre, ancora con il ghigno stampato in faccia, penso Finalmente è arrivato, spero che la lunga attesa sia ricompensata a dovere con un bel paio di cannonate o chessò io. Anche in quel Connecticut del '55, o giù di lì, è primavera. Lo sento cominciando a sfogliare il romanzo di un certo Richard Yates, che forse ho già sentito - ma no, mi inganna l'assonanza con Yeats (l'ordine diverso delle lettere centrali è curioso, uno ate=mangiò, l'altro eat=mangiare). L'edizione della Minimun Fax è un qualcosa che definirei squisita, anche se forse non è proprio il termine che si addice a come si presenta un libro. Ma forse sì, al diavolo.
Curiosa la stampa di una mano che indica, su una delle prime pagine. Curiosa la dedica A Sheila, che mi ricorda la To Sheila degli Smashing Pumpkins. Curiose, queste associazioni.

Il sipario si apre su un sipario che si chiude. Una manciata di attori si sparpaglia sul palcoscenico con il regista, dopo una rappresentazione teatrale de La Foresta Pietrificata. Buona parte dei personaggi del romanzo fa la sua timida apparizione all'inizio di questa primavera del dopoguerra. Quel che ti aspetti è forse un croccante strato di borghesia che ha ormai superato i postumi da depressione29 e sguazza allegramente nella crescita economica: le giardinette che sfrecciano sulla favolosa Statale 12, le dimore bianche tra le collinette alberate, i vialetti lastricati, gli irrigatori che volteggiano sul giardino. E in effetti, è quello che trovi sullo sfondo. Ma in primo piano ci sono i Wheeler. Beh, a prima vista si confondono in quel Vuoto disperato, ma quando iniziano a parlare e a farsi conoscere capisci che in qualche modo ne sono intrappolati. Intrappolati eppure, allo stesso modo, liberi di andarsene quando vogliono. Un pò come un datore di lavoro finto rammaricato, che incalzando ti dice: «sei libero di andartene, certo.. ma perchè te ne vuoi andare? c'è qualche problema? guarda che si può risolvere tutto».
Frank Wheeler, più della moglie April, intrappolato in quella noiosa vita da periferia, intrappolato nel lavoro più stupido del mondo. Intrappolati con un paio di figli in quella casa a Revolutionary Road, vicino alla Statale 12. Intrappolati nelle serate in compagnia dei Campbell, nelle visite dell'ansiosissima signora Givings, nei litigi a notte fonda, nei whiskey per ammazzare la noia di vite insoddisfatte. Poi il progetto del trasferimento in Europa, a Parigi, che può rappresentare la Svolta, il modo per tirarsi fuori da quei patetici scenari di mediocrità. La vera felicità, al di là dell'Atlantico. Mentre la data della partenza ancora non è vicina, Yates continua a farci giocherellare con il cubo di Rubik del racconto, incastonato dei nostri alterni sentimenti - ora di sconforto, ora di contentezza, ora di compiacimento - che combiniamo fino a scoprire, poi, una scioccante soluzione monocromatica.
La ricchezza dei particolari è impressionante ma non eccessiva: la descrizione della gestualità dei personaggi, per esempio, impressiona parecchio, armonizzata con destrezza all'interno delle vicende che si svolgono. Pare quasi una pièce teatrale in certi frangenti.
La scorrevolezza, superate le primissime pagine, è notevole; risulta estremamente facile farsi trasportare dalle pagine.

Revolutionary Road è il posto dove si svolge questa storia, ma credo sia anche il suo significato letterale. Revolutionary Road è un altro tentativo di uscire da una realtà conformista, da quello che vogliono che tu faccia; un tentativo animato da una forza d'animo a volte forte a volte debole, ma apprezzabile. Non trovi grandi massime che ti illuminino la vita, ma una storia forte e piacevole. Ogni tanto, mi ci vuole anche questo.

E Frank provvedeva a sviluppare il tema «il fatto è che non sarebbe una cosa così grave, se non fosse tanto sintomatica. Non si tratta solo dei Donaldson: ci sono anche i Cramer, e i come diavolo si chiamano, i Wingate, e milioni di altri. Tutti gli idioti coi quali ogni giorno mi trovo a viaggiare sul treno. E' una malattia. La gente ha smesso di pensare, di provare emozioni, di interessarsi alle cose; nessuno che si appassioni o creda in qualcosa che non sia la sua piccola, dannata, comoda mediocrità»



3 commenti:

Anonimo ha detto...

Luca, ciao, toccata e fuga... ho visto il film con di caprio e la winslet, mi era davvero piaciuto...non so com'è nel libro, ma nel film c'è un pazzo che ad un certo punto gli sputa in faccia tutta la verità...puntini puntini ;)
superabbraccio alla salsedine, a presto gonzo!

orfeoemerso ha detto...

ciao ele!
sì sì, infatti mi ha colpito un sacco come figura e ce ne sarebbe da parlare molto di lui e di quel che rappresentava.

il film è piacevole ma beh il libro come spesso accade è sicuramente meglio. secondo me è stato comunque trasposto bene, anche per via della scrittura mezza teatrale di Yates che ho accennato.

a presto

Francesco ha detto...

Grandioso Yates!
Ti consiglio di leggere anche gli altri libri; proprio in questi gg Minimum fax ha rilasciato "Bugiardi e innamorati", una raccolta di racconti.
Ciao!
(bel blog, mi sto iscrivendo ai feed)

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