18 agosto 2008


Lo sguardo fisso sullo scenario che l'autostrada alle 2 di notte offriva: luci, sagome su quattro ruote, un largo tappeto grigio scuro che sconfinava per chilometri e chilometri, finendo per sbattere contro l'immenso quadro del cielo dove gli astri lanciavano il loro muto urlo elettrico. Iniziò così la traversata della penisola, 1060 chilometri giù per lo stivale in rotta di collisione con uno dei posti più magici del paese. Me ne sto sul sedile del passeggero a scrutare la notte, immerso nella vastità dei miei pensieri e nei discorsi con mia sorella alla guida, eccitato - cosa mi avrebbe riservato il destino o qualche altra forza mistica non lo sapevo, ma ero curioso e nonostante sapessi di non esser lì per passare la tipica vacanza-con-amici non me ne importava, il viaggio non è solo quello.
Avevo preso la palla al balzo nel momento in cui si era liberato il secondo posto per questa traversata. Di certo anche mia sorella si immaginava tutta un'altra vacanza prima che accadesse, ma sembrava ugualmente felice di condividerla con me.
Il senso del viaggio dovrebbe essere nella strada che si fa e non nella meta in sè, ma 14 ore più tardi mi ero ricreduto almeno per questa volta. Tutto bene per i primi 300 chilometri, l'alba sembra scoppiettare con ottimismo all'orizzonte ma al momento del cambio guida mi ritrovo rallentamenti e una coda. Incidente. Beh, capita (dentro di me già maledico tutto e tutti, ma proprio quando mi metto al volante io cazzo?!).
Passato l'incidente procediamo, nel frattempo scorrono fuori dal finestrino Emilia, Marche, la cementificazione lascia il posto a paesaggi sempre più spogli e dove finalmente la Natura ha un certo sopravvento (certo, relativo). E poi il mare. Sulla sinistra, il mantello blu dell'Adriatico si stende al di là della costa. La vista del mare dopo solo un anno lontano da lui ti spezza il cuore. Il sole che dipinge le increspature di riflessi dorati sembra quasi dire "toh, eccotelo qua, creation is perfect".
Secondo incidente, e giusto dopo questa visione tanto agoniata. Ancora fermi sull'asfalto rovente della A14, ora siamo tutti fuori dalle vetture in piedi, con l'espressione imbronciata tipica di uno che si è veramente rotto di ste cose. Cominci a pensare alla Statistica, alla probabilità di beccare gli unici due incidenti della giornata, e il tempo muore lungo la linea bianca che non si srotola più. Il tempo d'attesa sembra dilatarsi all'infinito, complici il caldo e la morbosa voglia di arrivare a destinazione nonostante manchino ancora sacchi di chilometri.
Finalmente vedo la gente che più avanti rientra in macchina, effetto domino lungo tutta la coda. Pian piano si riparte a velocità sostenuta...




1 commenti:

Anonimo ha detto...

Cronaca emozionante di un viaggio desiderato quanto sofferto...vi si respira Kerouac! Un bacio, Lu

Posta un commento